Siamo nel 2467 e da
diverse generazioni sono i robot a prendere ogni decisione, mentre un
individualismo esasperato regola la vita dell’uomo: la famiglia è abolita, la
coabitazione vietata e ognuno assume quotidianamente un mix di psicofarmaci e
antidepressivi. I suicidi sono in aumento, non nascono più bambini e la
popolazione mondiale sta avviandosi all’estinzione. Simbolo e guardiano dello
status quo è Spofforth, androide di ultima generazione che agogna un suicidio
che gli è però impedito gli dalla sua programmazione. A lui si contrapporranno
Paul Bentley, un professore universitario che, riscoperta casualmente la
lettura dimenticata da tempo, grazie ai libri apprende l’esistenza di un
passato e la possibilità di un cambiamento, e Mary Lou, che sin da piccola ha
rifiutato di assumere droghe pur di tenere gli occhi aperti sulla realtà. Tevis
si muove dall’incrocio di queste tre vite creando una distopia postmoderna
sulle inquietudini dell’uomo, dove la tecnologia senza controllo si trasforma
da risorsa a pericolo. Prefazione di Goffredo Fofi. Con una nota di Jonathan
Lethem.
Walter Tevis - L'uomo
che cadde e si rialzò
È sorprendente pensare
che Walter Tevis, creatore di personaggi che sono rimasti a buon diritto
nell’immaginario collettivo non solo letterario ma anche visuale, sia stato un
autore relativamente poco prolifico; lo è meno accorgersi che le sue storie di
isolamento e fragilità, di redenzione mancata, sfuggita o raggiunta, anche
quando sono ambientate in un «altrove» in apparenza alieno ma – come molti
critici non hanno mancato di sottolineare – plausibile, risultano tuttavia
tremendamente familiari. Pur essendo considerato tra i maestri della sci-fi
moderna (ma non ha scritto solo sci-fi), Tevis ha sempre insistito per definire
le sue opere non come science-fiction ma come fiction speculativa, che
descrivendo mondi futuribili o paralleli sposta l’attenzione sul piano
psicologico anziché su quello delle innovazioni tecniche. E proprio l’assenza
di un armamentario tecnologico più o meno «fantascientifico» fa sì che romanzi
come The Man Who Fell to Earth o Mockingbird (in particolare il primo) siano in
grado di superare indenni il trascorrere del tempo, che oggi ci fa sembrare
ridicoli molti testi che al loro primo apparire erano stati ritenuti sì
capolavori, ma solo all’interno del loro «genere». Walter Stone Tevis nasce a
San Francisco il 28 febbraio 1928. All’età di dieci anni una malattia reumatica
al cuore lo costringe a rimanere in ospedale un anno intero; nel frattempo la sua
famiglia si trasferisce nel Kentucky, lasciandolo a San Francisco. La degenza,
le terapie e gli esami spesso dolorosi, il senso di abbandono trasformano
l’ospedale in un’autentica camera delle torture; e una volta dimesso, non è
meno difficoltoso integrarsi nella tranquilla provincia kentuckiana quando si
proviene da una grande città. Inoltre Walter è timido, gracile, impacciato,
buffo (deve portare un apparecchio per i denti) e ha trovato un precoce rifugio
nei libri: tutto questo fa di lui il bersaglio naturale dei bulli della scuola,
che non gli risparmiano beffe e pestaggi. Al liceo cambia scuola per ben tre
volte, poi si arruola in marina in tempo per prestare servizio alla base di
Okinawa, in Giappone, negli ultimi due anni della seconda guerra mondiale; una
volta congedato riesce finalmente a diplomarsi e si iscrive all’università.
Trova anche lavoro, in una sala da biliardo. Il gioco lo appassiona anche se
non è in grado di praticarlo come si deve, a causa delle malattie infantili che
gli hanno lasciato danni permanenti di coordinazione motoria; però grazie al
suo migliore amico Toby Kavanaugh, giocatore professionista, riesce a imparare
le tecniche e i trucchi dei grandi hustler. Una volta laureato comincia a
insegnare alla scuola superiore, in un periodo che – malgrado Tevis sia il
classico professore goffo e bizzarro che sembra fatto apposta per suscitare i
lazzi degli studenti – ricorderà come tra i più sereni della sua vita. Conosce
anche una ragazza, Jamie Griggs, anche lei insegnante e come lui a disagio in
una cittadina dove si sentono le uniche persone non sposate nel raggio di
chilometri. Walter e Jamie mettono su famiglia; nel frattempo lui esordisce
come scrittore, con il racconto “The Ifth of Oofth” (1957). Diversi suoi
racconti appaiono su riviste anche prestigiose, come Esquire, Collier’s
Magazine, il Saturday Evening Post e Playboy. Nel 1959 viene pubblicato il suo
primo romanzo, The Hustler, che è subito un successo; due anni dopo verrà
portato sullo schermo dal regista Robert Rossen, con la sceneggiatura dello
stesso Tevis e Paul Newman e Jackie Gleason nei panni dei protagonisti. Secondo
alcuni The Hustler ha in qualche modo reinventato il mondo del biliardo
professionistico, trasformandolo in una vera e propria industria. Molti appassionati
pretesero di riconoscere nelle figure ritratte da Tevis questo o quel
giocatore; uno di loro, Rudolph Wanderone, citò addirittura in giudizio la casa
produttrice del film e ottenne un cospicuo risarcimento oltre al diritto di
usare il soprannome “Minnesota Fats” (fino a quel momento era noto come “New
York Fats”). Polemiche del genere amareggiarono a lungo Tevis, che insistette
sempre di aver “inventato Minnesota Fats così come Walt Disney ha inventato
Topolino”; pochi gli sono stati invece riconoscenti per aver creato nella sua
opera, per così dire, una mitologia del biliardo che resiste ancora oggi. Nel
1963 è la volta di The Man Who Fell to Earth, che, pur senza essere da subito
un successo commerciale come il precedente, riesce a ottenere col passare del
tempo una considerazione di rado concessa ai romanzi di fantascienza. Alcuni
hanno voluto vedere una metafora cristiana nella figura di un Salvatore venuto
in pace, disconosciuto e torturato. Ma nel corpo di Thomas Jerome Newton si
riproducono soprattutto le sofferenze del suo autore: l’abbandono, le “torture”
mediche, l’incomprensione e, infine, l’alcolismo. Mentre termina The Man Who
Fell to Earth Tevis sta diventando schiavo del bere come il suo personaggio. Lo
rimarrà per diciassette anni, durante i quali non scriverà nulla di notevole,
ad eccezione di pochi racconti e articoli. Dato che all’epoca aveva cominciato
a insegnare a livello universitario, prima nel Kentucky e poi nell’Ohio, Walter
Tevis ha motivato questa interruzione prolungata anche con l’incapacità di
riuscire a scrivere e a insegnare nello stesso tempo; ma è anche vero che
all’epoca le sue capacità letterarie gli sembravano inadeguate. Il poeta Donald
Justice ricorda la propria sorpresa nell’incontrare Tevis a un seminario per scrittori,
non come insegnante ma come studente. All’epoca Walter aveva già pubblicato due
bestseller, uno dei quali aveva raggiunto Hollywood (l’altro ci sarebbe
arrivato qualche anno dopo, grazie allo spirito visionario di Nicolas Roeg e al
volto inquietante e malinconico di David Bowie); eppure non si considerava
ancora un autore “serio”, si definiva “un bravo scrittore americano di secondo
livello” e sedeva, pieno di umiltà, in mezzo a giovani aspiranti che possiamo
immaginare perfettamente consci della loro grandezza intrinseca. Nel 1975,
però, la svolta: Walter decide di smettere di bere ed entra in psicoterapia.
Due anni dopo spinge ancora oltre la decisione di cambiare radicalmente la
propria vita: si dimette dall’università e si trasferisce a New York, risoluto
a dedicarsi soltanto alla scrittura. Nel 1980 dà alle stampe Mockingbird, che
in un certo senso riprende là dove The Man Who Fell to Earth si interrompeva:
una storia di dipendenza e disintossicazione, ambientata in un futuro governato
da automi nel quale gli esseri umani non devono far altro che dimenticare
(emozioni, insegnamenti, storie). I tre personaggi principali di Mockingbird
incarnano tre diversi modi di reimpossessarsi del proprio destino: Mary Lou con
il rifiuto della società, l’insegnante Bentley con una pratica proibita ma
vivificante (la lettura), l’androide Spofforth, condannato all’immortalità, con
la morte. Mockingbird è anche l’inizio del periodo più fruttuoso di Tevis come
autore; è del 1981 la raccolta di racconti Far from Home, seguita due anni dopo
dai romanzi The Steps of the Sun e soprattutto The Queen’s Gambit, la storia di
un’orfana circondata da un mondo che la terrorizza, alcolizzata e drogata, che
riesce infine a riscattarsi diventando la prima donna campionessa di scacchi.
Questa prolificità dopo un lungo periodo di silenzio può sorprendere, ma in
questi ultimi anni Tevis ha scoperto di avere un cancro ed è animato da un
sentimento di urgenza che si traduce in un fiotto di parole. The Queen’s Gambit
potrebbe essere per gli scacchi ciò che The Hustler è stato per il biliardo; le
lodi della critica sono pressoché unanimi, e anche l’autore vi è affezionato,
tanto che ha intenzione di scriverne un seguito. Nel 1984 esce intanto un
seguito di The Hustler, The Color of Money, ritenuto da molti poco più che un
espediente per battere cassa in vista dei momenti duri dovuti alla malattia. Ma
appena quattro giorni dopo la pubblicazione del romanzo (che nasconde in una
battuta rivolta al protagonista, “Fast” Eddie Felson, forse l’unico rimpianto
dell’autore: “Te ne sei rimasto seduto sul tuo talento per vent’anni”), Walter
Tevis se ne va per una crisi cardiaca, appena cinquantaseienne. (profilo
bio-bibliografico a cura di Andreina Lombardi Bom)
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