Non
ingombrare, non essere ingombranti: è l'unica prospettiva che si possa contare
fra quelle positive, efficaci, forse anche moralmente e politicamente buone.
Gabriele Romagnoli ha avuto modo di pensarci in Corea, mentre era virtualmente
morto, chiuso in una cassa di legno, per un bizzarro rito-esperimento. Nel
silenzio claustrofobico di quella bara, con addosso solo una vestaglia senza
tasche (perché, come si dice a Napoli, "l'ultimo vestito è senza
tasche"), arrivano le storie, le riflessioni, i pensieri ossessivi che
hanno a che fare con la moderazione. Il bagaglio a mano, per esempio. Un
bagaglio che chiede l'indispensabile, e dunque, chiedendo di scegliere, mette
in moto una critica del possibile. Un bagaglio che impone di selezionare un
vestito multiuso, un accessorio funzionale, persino un colore non invadente. Il
bagaglio del grande viaggiatore diventa metafora di un modello di esistenza che
vede nel "perdere" una forma di ricchezza, che sollecita
l'affrancamento dai bisogni, che non teme la privazione del "senza".
Anche di fronte alle più torve minacce del mondo, la leggerezza di sapersi
slegato dalla dipendenza tutta occidentale della "pesantezza" del
corpo, e da ciò che a essa si accompagna, diventa un'ipotesi di salvezza.
Viaggiare leggeri. Essere leggeri. Vivere leggeri. Gabriele Romagnoli centra
uno dei temi decisivi della società contemporanea e della sopravvivenza globale
e scrive una delle sue opere più saporite, il racconto di una rinascita, di un
risveglio.
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