In questi giorni, almeno, si riparla d'Enzo Taddei,
dell'anarchico e scrittore livornese che tra l'altro fu confinato nella mia
Basilicata, a Bernalda in provincia della Matera città dei Sassi. E quella
figura antica, diciamo, non può che farmi pensare a una più attuale: Nori. Il
Paolo Nori che oltre a permeare sempre e continuamente il suo stile di
scrittura, come potrete vedere dai suoi romanzi sopratutto ma anche dalle sue
scritture/post appiccicati al suo sito personale, con l'ultimissimo "Si
sente?" ricorda che esiste un solo modo di ragionare: riflettere senza
farsi bollire dai luoghi comuni e dimenticandosi quotidianamente che esistono
certezze a priori; figuriamoci, poi, se un Nori deve 'lavorare' per la Giornata
della Memoria, lui proprio, che odia manifestazioni di questo tipo ed eventi
pensati soltanto ricorrenze e basta. Ma capiamo meglio. Allora, Paolo Nori dal
2009 al 2013, per la Fondazione Fossoli, deve tenere tre discorsi nell'ambito del
progetto "Un treno per Auschwitz", pensato per sensibilizzare le
scuole di Fossoli, comune prossimo a Carpi dove c'era un centro di smistamento
per prigionieri razziali e politici diretti ai campi di concentramento nazisti,
sulla Shoah (insieme a Nori c'era pure Andrea Bajani). Quindi Nori, franco e
pungente come al solito e soprattutto coerente in una lettura della realtà che
sceglie solo di star dalla parte del vero, a volte similmente in questo al
'collega' Pascale Antonio, non può che pensare quanto e come spesso la Giornata
della Memoria "sia fatta per ricordare a prescindere, senza porsi molte
domande in merito, senza approfondire, senza sapere che cosa significhi
ricordare" - tipo se si dovesse organizzare una "notte bianca" che
condiziona tutti a uscire di casa obbligatoriamente. Fatta la premessa, vi
chiederete perché allora il libretto di Nori esce proprio qualche giorno prima
del 27 gennaio. Ma la risposta è più che semplice, ché il libro non deve esser
portato alla stregua delle medagliette e delle targhe commemorative nei vari
momenti pubblici. Deve aiutare il dibattito. Provarne uno perfino, magari.
Impossibile infatti far finta di niente quando si deve rileggere, per esempio,
che l'eugenetica, dottrina fortemente messa in pratica dal Reich, che prima di
tutto era una dottrina razzista, fu formulata ben prima dell'avvento del
dittatore Hitler ed era sostenuta, tra gli altri, dal sig. Winston Churchill.
Tutti pronti alla segregazione degli "inadatti". Fino alle pagine
magnifiche sulla strage di Reggio Emilia del 7 luglio 1960. Quella della nota
canzone. Motivo sottotraccia sulle riflessioni dedicate ai concetti: autorità,
obbedienza, vendetta. Qui, comunque, non sono proprio d’accordo che basti lo
sguardo ingenuo utile per entrar correttamente nel male di Birkenau. Serve, a
mio avviso, meditare accordandosi ai propri strumenti critici. Però come non
aver da questa lettura in poi in mente che dai campi d’annientamento tedeschi
non usciva il fumo cantato da Guccini? Perché è proprio così. La ditta incaricata
dell’allestimento dei forni sosteneva che per un funzionamento perfetto,
tedesco diremo, del mezzo, il fumo non dovesse escer emesso da quelle macchine
di morte. Ricordando quel che siamo e/o dovremo essere, ecco: “Per noi, la
storia, la storia a noi contemporanea, noi è come se abitassimo tutti in un
appartamento al settimo piano che dà su uno snodo ferroviario ma ci abitiamo da
tanto di quel tempo che se ci chiedono ‘Ti dà fastidio, il rumore dei treni?’
ci vien da rispondere ‘Il rumore dei treni? Che rumore? Che treni?’ Questo non
vuol dire che i treni non facciano rumore. E non vuol dire che a concentrarsi,
a tendere l'orecchio, come si dice, non si senta, quel rumore, il rumore che il
treno della storia fa in questo preciso momento che noi siamo qui”. Nori il
russo, autore per esempio di “Grandi ustionati” e “Si chiama Francesca, questo
romanzo”, come dell’imperdibile “Mo mama. Di chi vogliamo essere govarnati”,
studia noi ma parla con Charms.
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