La voce della donna è
l’immagine dell’animale idealmente in gabbia ma realmente libero. Il romanzo
breve di Mariolina Venezia, “La volpe meccanica”, si differenzia, nuovamente,
dagli altri dell’autrice materana. Perché la lucana Venezia sta seguendo una
linea di gialli che vedono protagonista quella Imma Tataranni - già entrata
nell’immaginario collettivo d’almeno un pezzo degli amanti della lettura. Ché
non siamo tornati alla saga “Mille anni che sto qui”, sicuramente l’opera più
riuscita di Venezia; visto che stiamo adesso in un genere che supera
sicuramente quel giallo già vissuto però senza necessariamente riprendersi
completamente il noir di certe scene dei racconti urbani scritti in gioventù e,
pure non volendo dedicare tutta l’esperienza al noir o, tanto meno, al
thriller. Ma che stiamo leggendo?: abbiamo letto una prova letteraria che parla
di cosa vuole e fa una donna che a primo acchito apparirebbe soltanto vittima
di se stessa, prima che delle situazioni e, dunque, dell’insoddisfazione da fallimento
personale. Ecco, quindi, intanto la passione infuocata e infuocante per un uomo
più giovane di lei, Andrea, fratello del marito della donna, che finalmente
lascia il segno in un'esistenza “grigia, imprigionata in un matrimonio deciso a
sangue freddo”. Epperò oltre la passione esiste tanto altro. Descritti i baci e
tutto il resto del tradimento, la voce stessa della protagonista della storia
passa ad ascoltarsi. La promozione del testo parla di “thriller dei sentimenti,
all’inseguimento di una verità che trascende i fatti e diventa un’indagine
esistenziale”. Andando molto vicino al senso massimo del libro. Questo noir
molto leggero seleziona azioni e parole per restituirci in tutta la propria
forza e, ovviamente, oltre le sue debolezze, la libertà d’una volpe meccanica
che sceglie di togliersi per qualche frangente vitale dalla casa chiusa dentro
la quale s’era incastrata.
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