«L'umanità, sull'orlo
del baratro, dà sempre il meglio di sé» «Dai e dai ci eravamo abituati a vivere
nella menzogna. Più difficile era imparare a prenderla sul serio.» Domenico
Nanni è un uomo che sta facendo i conti con se stesso. A sessant'anno, si
guarda indietro e quello che vede è l'immagine di chi non si è fatto scrupoli
ad arraffare tutto ciò che poteva, senza nulla in cui credere se non successo,
potere, denaro. Presto orfano di padre, cresciuto da una madre che ha sgobbato
per potergli garantire un'istruzione, negli anni Sessanta, Domenico sposa gli
ideali rivoluzionari, forse più per il desiderio di essere come gli altri che
per convinzione. Giornalista di nera a l'Avvenire, per un po' se ne sta a
guardare, ma ben presto inizia a cedere alle lusinghe di chi ha capito che non
si vince più con le idee ma con la prepotenza. Con gli anni Ottanta inizia il
gran ballo, e molti pensano a riempirsi la pancia, con buona pace di sogni e
utopie. Nanni è uno di quelli. Con l'ascesa del Partito Socialista e la
vittoria di una politica del bengodi, salta sul carro del vincitore. Si sporca
le mani con la politica, l'industria, la finanza, e così attraversa gli ultimi
quarant'anni della storia italiana. E la sua parabola diventa metafora di
quella del nostro Paese. Fino a uno sconvolgente rigurgito di coscienza che
regala al lettore uno sguardo affilato e spietato su una Grande Bellezza che ci
ha lasciati con un gran carico di immondizia.
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