Nel leggere questo
libro è importante partire dal titolo perché racconta molto. È una storia in
cui le parole stanno sospese tra lirica e cronaca; è un saggio inchiesta,
atipico nel suo genere perché c’è una dimensione privata e molto intima che
l’autrice generosamente offre al lettore come una testimonianza, perché questa
è una storia che “parte dal segno di un corpo e arriva all’anima”. È un
percorso a ritroso nella vita lavorativa di Donato Chirico, padre dell’autrice
e operaio petrolchimico e allo stesso tempo un’indagine sulla Montecatini, a
partire da quando era un’azienda chimica italiana di notorietà mondiale. Plastica
è, dunque, la storia di una famiglia operaia, in particolare di un padre e una
figlia, della malattia che porterà alla morte lui, Donato, e della fatica e
dell’amore di lei, Rosangela, che di quel padre si prenderà cura fino
all’ultimo giorno con grande coraggio, senza mai indulgere alla disperazione:
“in quei momenti di malattia esorcizzavamo la morte con la nostra voglia di
vivere”. Donato è stato ucciso dal cancro epatico causato dall’esposizione
prolungata al CVM, il Cloruro di Vinile Monomero, contratto al petrolchimico di
Brindisi. Rosangela vuole la verità e vuole farla sapere per restituire tutta
la dignità a un uomo che nella fabbrica era un elemento indispensabile, un
jolly della filiera, come raccontano i suoi compagni di lavoro, e perciò spesso
a contatto diretto con le sostanze altamente tossiche della trasformazione del
petrolio. Rosangela si immerge nei ricordi per recuperare la memoria che sola
può aiutarla a ricomporre la storia di suo padre e di tanti operai come lui, morti
di lavoro, per il lavoro. E così inizia un viaggio a ritroso che porta il
lettore fra i ricordi di una bambina che sulle spalle del papà guardava
quell’enorme drago sputafuoco, le sue “fiammate arancioni con le punte gialle e
rosse sbatacchiate dal vento” e immaginava una fabbrica di dolci, che poi si
rivelerà in tutta la sua tragica realtà un enorme ecomostro, dove l’aria è una
polvere di PVC, un labirinto dove cercare la verità oscenamente mistificata
anche a costo di molte vite umane. Rosangela vuole la verità per restituire
dignità a suo padre e a tutti gli operai sacrificati “sull’altare di
fango”dell’industrializzazione del Mezzogiorno, con il falso miraggio del
progresso economico e del lavoro sicuro. Rosangela chiede giustizia non solo
per suo padre, ma per tutti morti da CVM, per tutti “coloro che non possono
ambire a trovare un lavoro meno pericoloso che tuteli le loro umili vite”. Questo
libro è un tenero omaggio alla memoria del padre, e allo stesso tempo una lucida
e serrata requisitoria che fa a meno dei toni veementi perché ha dalla sua le
ragioni della scienza e delle ricerche di oncologi e scienziati che vanno tutte
nello stesso senso: il petrolchimico avvelena uomini e ambiente. “Il pane è
condito con la morte”, così l’autrice chiude il suo racconto, con un’amara
metafora di un mondo che del petrolio e della plastica non può fare a meno e
per ogni operaio che muore altri sono pronti a entrare nelle fabbriche, perché
in Italia il disastro ambientale avviene sotto il segno del ricatto
occupazionale.
venerdì 25 settembre 2015
Solo il mimo canta al limitare del bosco di Walter Tevis (Minimum Fax)
Siamo nel 2467 e da
diverse generazioni sono i robot a prendere ogni decisione, mentre un
individualismo esasperato regola la vita dell’uomo: la famiglia è abolita, la
coabitazione vietata e ognuno assume quotidianamente un mix di psicofarmaci e
antidepressivi. I suicidi sono in aumento, non nascono più bambini e la
popolazione mondiale sta avviandosi all’estinzione. Simbolo e guardiano dello
status quo è Spofforth, androide di ultima generazione che agogna un suicidio
che gli è però impedito gli dalla sua programmazione. A lui si contrapporranno
Paul Bentley, un professore universitario che, riscoperta casualmente la
lettura dimenticata da tempo, grazie ai libri apprende l’esistenza di un
passato e la possibilità di un cambiamento, e Mary Lou, che sin da piccola ha
rifiutato di assumere droghe pur di tenere gli occhi aperti sulla realtà. Tevis
si muove dall’incrocio di queste tre vite creando una distopia postmoderna
sulle inquietudini dell’uomo, dove la tecnologia senza controllo si trasforma
da risorsa a pericolo. Prefazione di Goffredo Fofi. Con una nota di Jonathan
Lethem.
Walter Tevis - L'uomo
che cadde e si rialzò
È sorprendente pensare
che Walter Tevis, creatore di personaggi che sono rimasti a buon diritto
nell’immaginario collettivo non solo letterario ma anche visuale, sia stato un
autore relativamente poco prolifico; lo è meno accorgersi che le sue storie di
isolamento e fragilità, di redenzione mancata, sfuggita o raggiunta, anche
quando sono ambientate in un «altrove» in apparenza alieno ma – come molti
critici non hanno mancato di sottolineare – plausibile, risultano tuttavia
tremendamente familiari. Pur essendo considerato tra i maestri della sci-fi
moderna (ma non ha scritto solo sci-fi), Tevis ha sempre insistito per definire
le sue opere non come science-fiction ma come fiction speculativa, che
descrivendo mondi futuribili o paralleli sposta l’attenzione sul piano
psicologico anziché su quello delle innovazioni tecniche. E proprio l’assenza
di un armamentario tecnologico più o meno «fantascientifico» fa sì che romanzi
come The Man Who Fell to Earth o Mockingbird (in particolare il primo) siano in
grado di superare indenni il trascorrere del tempo, che oggi ci fa sembrare
ridicoli molti testi che al loro primo apparire erano stati ritenuti sì
capolavori, ma solo all’interno del loro «genere». Walter Stone Tevis nasce a
San Francisco il 28 febbraio 1928. All’età di dieci anni una malattia reumatica
al cuore lo costringe a rimanere in ospedale un anno intero; nel frattempo la sua
famiglia si trasferisce nel Kentucky, lasciandolo a San Francisco. La degenza,
le terapie e gli esami spesso dolorosi, il senso di abbandono trasformano
l’ospedale in un’autentica camera delle torture; e una volta dimesso, non è
meno difficoltoso integrarsi nella tranquilla provincia kentuckiana quando si
proviene da una grande città. Inoltre Walter è timido, gracile, impacciato,
buffo (deve portare un apparecchio per i denti) e ha trovato un precoce rifugio
nei libri: tutto questo fa di lui il bersaglio naturale dei bulli della scuola,
che non gli risparmiano beffe e pestaggi. Al liceo cambia scuola per ben tre
volte, poi si arruola in marina in tempo per prestare servizio alla base di
Okinawa, in Giappone, negli ultimi due anni della seconda guerra mondiale; una
volta congedato riesce finalmente a diplomarsi e si iscrive all’università.
Trova anche lavoro, in una sala da biliardo. Il gioco lo appassiona anche se
non è in grado di praticarlo come si deve, a causa delle malattie infantili che
gli hanno lasciato danni permanenti di coordinazione motoria; però grazie al
suo migliore amico Toby Kavanaugh, giocatore professionista, riesce a imparare
le tecniche e i trucchi dei grandi hustler. Una volta laureato comincia a
insegnare alla scuola superiore, in un periodo che – malgrado Tevis sia il
classico professore goffo e bizzarro che sembra fatto apposta per suscitare i
lazzi degli studenti – ricorderà come tra i più sereni della sua vita. Conosce
anche una ragazza, Jamie Griggs, anche lei insegnante e come lui a disagio in
una cittadina dove si sentono le uniche persone non sposate nel raggio di
chilometri. Walter e Jamie mettono su famiglia; nel frattempo lui esordisce
come scrittore, con il racconto “The Ifth of Oofth” (1957). Diversi suoi
racconti appaiono su riviste anche prestigiose, come Esquire, Collier’s
Magazine, il Saturday Evening Post e Playboy. Nel 1959 viene pubblicato il suo
primo romanzo, The Hustler, che è subito un successo; due anni dopo verrà
portato sullo schermo dal regista Robert Rossen, con la sceneggiatura dello
stesso Tevis e Paul Newman e Jackie Gleason nei panni dei protagonisti. Secondo
alcuni The Hustler ha in qualche modo reinventato il mondo del biliardo
professionistico, trasformandolo in una vera e propria industria. Molti appassionati
pretesero di riconoscere nelle figure ritratte da Tevis questo o quel
giocatore; uno di loro, Rudolph Wanderone, citò addirittura in giudizio la casa
produttrice del film e ottenne un cospicuo risarcimento oltre al diritto di
usare il soprannome “Minnesota Fats” (fino a quel momento era noto come “New
York Fats”). Polemiche del genere amareggiarono a lungo Tevis, che insistette
sempre di aver “inventato Minnesota Fats così come Walt Disney ha inventato
Topolino”; pochi gli sono stati invece riconoscenti per aver creato nella sua
opera, per così dire, una mitologia del biliardo che resiste ancora oggi. Nel
1963 è la volta di The Man Who Fell to Earth, che, pur senza essere da subito
un successo commerciale come il precedente, riesce a ottenere col passare del
tempo una considerazione di rado concessa ai romanzi di fantascienza. Alcuni
hanno voluto vedere una metafora cristiana nella figura di un Salvatore venuto
in pace, disconosciuto e torturato. Ma nel corpo di Thomas Jerome Newton si
riproducono soprattutto le sofferenze del suo autore: l’abbandono, le “torture”
mediche, l’incomprensione e, infine, l’alcolismo. Mentre termina The Man Who
Fell to Earth Tevis sta diventando schiavo del bere come il suo personaggio. Lo
rimarrà per diciassette anni, durante i quali non scriverà nulla di notevole,
ad eccezione di pochi racconti e articoli. Dato che all’epoca aveva cominciato
a insegnare a livello universitario, prima nel Kentucky e poi nell’Ohio, Walter
Tevis ha motivato questa interruzione prolungata anche con l’incapacità di
riuscire a scrivere e a insegnare nello stesso tempo; ma è anche vero che
all’epoca le sue capacità letterarie gli sembravano inadeguate. Il poeta Donald
Justice ricorda la propria sorpresa nell’incontrare Tevis a un seminario per scrittori,
non come insegnante ma come studente. All’epoca Walter aveva già pubblicato due
bestseller, uno dei quali aveva raggiunto Hollywood (l’altro ci sarebbe
arrivato qualche anno dopo, grazie allo spirito visionario di Nicolas Roeg e al
volto inquietante e malinconico di David Bowie); eppure non si considerava
ancora un autore “serio”, si definiva “un bravo scrittore americano di secondo
livello” e sedeva, pieno di umiltà, in mezzo a giovani aspiranti che possiamo
immaginare perfettamente consci della loro grandezza intrinseca. Nel 1975,
però, la svolta: Walter decide di smettere di bere ed entra in psicoterapia.
Due anni dopo spinge ancora oltre la decisione di cambiare radicalmente la
propria vita: si dimette dall’università e si trasferisce a New York, risoluto
a dedicarsi soltanto alla scrittura. Nel 1980 dà alle stampe Mockingbird, che
in un certo senso riprende là dove The Man Who Fell to Earth si interrompeva:
una storia di dipendenza e disintossicazione, ambientata in un futuro governato
da automi nel quale gli esseri umani non devono far altro che dimenticare
(emozioni, insegnamenti, storie). I tre personaggi principali di Mockingbird
incarnano tre diversi modi di reimpossessarsi del proprio destino: Mary Lou con
il rifiuto della società, l’insegnante Bentley con una pratica proibita ma
vivificante (la lettura), l’androide Spofforth, condannato all’immortalità, con
la morte. Mockingbird è anche l’inizio del periodo più fruttuoso di Tevis come
autore; è del 1981 la raccolta di racconti Far from Home, seguita due anni dopo
dai romanzi The Steps of the Sun e soprattutto The Queen’s Gambit, la storia di
un’orfana circondata da un mondo che la terrorizza, alcolizzata e drogata, che
riesce infine a riscattarsi diventando la prima donna campionessa di scacchi.
Questa prolificità dopo un lungo periodo di silenzio può sorprendere, ma in
questi ultimi anni Tevis ha scoperto di avere un cancro ed è animato da un
sentimento di urgenza che si traduce in un fiotto di parole. The Queen’s Gambit
potrebbe essere per gli scacchi ciò che The Hustler è stato per il biliardo; le
lodi della critica sono pressoché unanimi, e anche l’autore vi è affezionato,
tanto che ha intenzione di scriverne un seguito. Nel 1984 esce intanto un
seguito di The Hustler, The Color of Money, ritenuto da molti poco più che un
espediente per battere cassa in vista dei momenti duri dovuti alla malattia. Ma
appena quattro giorni dopo la pubblicazione del romanzo (che nasconde in una
battuta rivolta al protagonista, “Fast” Eddie Felson, forse l’unico rimpianto
dell’autore: “Te ne sei rimasto seduto sul tuo talento per vent’anni”), Walter
Tevis se ne va per una crisi cardiaca, appena cinquantaseienne. (profilo
bio-bibliografico a cura di Andreina Lombardi Bom)
giovedì 24 settembre 2015
I due Hotel Francfort di David Leavitt (Mondadori)
Dopo sei anni di silenzio, David
Leavitt torna con un romanzo esplosivo e lirico: una storia sul potere della
manipolazione, sui modi in cui le persone possono cambiare in circostanze
eccezionali e non essere più le stesse. La fotografia di un continente alla
vigilia del disastro.
Julia e Pete Winters sono
americani molto per bene e a Parigi hanno cercato una fuga dalla loro ordinaria
vita matrimoniale, Edward e Iris Freleng sono eleganti, ricchi con noncuranza,
due bohémien che hanno girato la costa francese sperando fino all'ultimo di non
doverla lasciare. Invece il giugno del 1940 li sorprende tutti e quattro
bloccati nell'atmosfera precaria, al tempo stesso seducente e trasandata, del
neutrale porto di Lisbona. Dai confini di molte nazioni ormai risuonano i colpi
di mortaio, ma loro aspettano senza troppa ansia l'arrivo della nave SS
Manhattan che li porterà in salvo a New York, non del tutto convinti di voler
rimpatriare. Si conoscono al Café Suiça ed è subito evidente una tensione tra
loro: entrambe le coppie nascondono un segreto che senza essere esibito le lega
insieme fin dal primo istante, entrambe le coppie sono tormentate dalle
convenzioni sociali e sessuali dell'epoca. Come l'Europa fatica a tenere in
vita gli ultimi equilibri e affonda inesorabilmente nella guerra, così anche la
stabilità dei Winters e dei Freleng comincia a cedere...
Un amore diabolico di Ann Aguirre (Newton Compton)
La vendetta, si sa, è un piatto
che va gustato freddo. E la giovane Edie Kramer ha già sofferto abbastanza
nella sua breve vita a causa di tutto quello che ha dovuto affrontare alla
Blackbriar Academy: se prima meditava di prendersi una rivincita sui bulli che
la tormentano a scuola, ormai è giunta addirittura al punto di volersi togliere
la vita. Ma quando anche l’ultima speranza sembra perduta e Edie sta per
saltare nel vuoto da un ponte di Boston, a salvarla arriva l’affascinante Kian,
che le propone in cambio uno strano patto: esaudirà tre suoi desideri, ma lei
in futuro dovrà rendergli il favore, facendo tre cose per la misteriosa società
per cui lui lavora… Edie otterrà bellezza e successo, riscattandosi agli occhi
di tutta la gente che l’ha maltrattata in passato, però dovrà pagare un prezzo
davvero molto alto per la sua scelta: Kian infatti è un immortale al soldo di
un gruppo di demoni. Eppure Edie non riesce a resistere al suo fascino
enigmatico. E ora non sa più di chi può davvero fidarsi, in un mondo popolato
di creature diaboliche.
Interviste sul Tarantismo di Sergio Torsello (KURUMUNY)
Dagli anni Novanta del secolo
scorso, il tarantismo è al centro di un rinnovato interesse antropologico,
sociologico, culturale: si assiste a una sorprendente fioritura degli studi, a
un’imponente produzione saggistica e narrativa, che spazia dall’indagine
dell’eredità demartiniana all’elaborazione delle più diverse ipotesi
classificatorie (rituale di possessione, fenomeno magico-religioso, pratica di
esorcismo-adorcismo); dalla creazione del topos letterario che celebra il luogo
incorrotto e segnato dalla sopravvivenza di riti ancestrali, al processo di
patrimonializzazione del tarantismo, che coinvolge numerosi attori sociali,
portatori di istanze differenti, e converge sul dibattito intorno alle eredità
culturali. Il Salento torna così a essere un osservatorio privilegiato per
l’antropologia italiana, un campo etnografico mutevole e complesso in cui si
affermano pratiche reinventive e di ‘riuso’ dei materiali del tarantismo, nel
segno dell’etnicità: il folk revival e il recupero della pizzica con una decisa
rivendicazione identitaria; un fenomeno di riconversione simbolica, oggetto di
accesa dialettica, per cui il tarantismo è passato, citando Marino Niola, «da
stigma a bene immateriale ad attrattore turistico e volano di marketing
territoriale». Queste interviste, raccolte lungo l’arco di un quindicennio,
rispondono a una duplice esigenza. Da un lato, l’amore del documento e il
rigore metodologico guidano l’autore nel tentativo di tracciare con ordine e
sistematicità una storia degli studi lunga diversi secoli e ricca
d’innumerevoli contributi, col supporto di un paziente, puntiglioso lavoro di
ricerca e compilazione bibliografica. Gli interlocutori – nomi prestigiosi
della tradizione etnoantropologica italiana, letterati, studiosi di cultura
locale e figure di rilievo del mondo popolare salentino – sono chiamati a
verificare e approfondire, scandagliare gli aspetti sfuggenti o poco indagati
di un fenomeno che è stato definito, con felice espressione, un «rompicapo ermeneutico».
Oltre che strumento d’indagine conoscitiva, l’intervista è però, per Sergio
Torsello, occasione di stabilire quella che de Martino chiamava una relazione
«di confronto»: colpisce lo sforzo di condividere interpretazioni e identità
culturali, in una prospettiva dialogica e corale in grado di gettare un ponte
fra generazioni e scuole, favorire un fertile confronto fra l’accademia e la
cultura locale. Ne emerge, per usare un’immagine cara all’autore, «una tela
infinita che continuamente si disfa e si ricompone, nella quale convivono
osservatori e osservati, sguardi e punti di vista differenti», così da tessere
insieme i mille fili che legano l’immaginario di un territorio. «Mi piace
pensare» scrive nella prefazione al testo Gabriele Mina «che Sergio, in modo
ironico, sentisse l’eredità di quegli etnografi che battevano il territorio,
paese per paese, interrogando chicchessia, accumulando dati e scrivendo missive
alle accademie. Ora, per una volta, siamo noi a fare un passo indietro e a
mettere in luce lui, leggendo qui le sue domande puntuali sull’identità dei
luoghi e sulla reinvenzione della memoria, riconoscendo fra le sue note
dettagliate la vocazione dell’antropologo militante».
mercoledì 23 settembre 2015
LA CITTA’ VERTICALE DI OSVALDO PILIEGO (LUPO EDITORE)
È la storia di un
condominio e dei suoi abitanti, il racconto di una città, Lecce, vista dalla
periferia. Su tutto regna lo sguardo ipnotico della televisione e di Maria De
Filippi. Nascosti da qualche parte “Gli Altri” decidono chi vive e chi muore.
Luigi è l’eroe e la vittima, Lucia la vergine tossica, Dario l’alcolista
fallito. Sullo sfondo una galleria di personaggi e storie senza speranza e
senza futuro.
La
penna di Osvaldo Piliego traccia un affresco impietoso della società
contemporanea, non fa sconti a chi ormai è fatto per vivere come bruti, cioè
tutti noi. È inevitabile, leggendo questo libro, visionario e feroce
identificarsi almeno in uno di questi personaggi estremamente lirici nel loro
dramma fatto di nulla. L'unica possibilità di riscatto è il peccato, la morte
nel migliore dei casi. E se esiste l’amore bisogna ammazzarlo, passarci sopra,
sopravvivere. Prendete la narrativa americana più pulp e sciacquatela nel
canale di Otranto, quello che resta è comunque ancora molto sporco.
Osvaldo Piliego ha
trentadue anni, vive a Lecce. È laureato in lettere. Ha scritto per diverse
riviste locali e nazionali. È giornalista pubblicista. Attualmente è direttore
di Coolclub.it e collabora con il Quotidiano di Lecce e Rockerilla. Ha
organizzato centinaia di concerti e suona male la batteria da 15 anni.
LES REVENANTS DI SETH PATRICK (Piemme)
Da oggi in libreria il
romanzo UFFICIALE della serie TV rivelazione andato in onda su Sky Atlantic HD
e che ha appassionato il mondo. In un paesino francese tra le montagne, la diga
che circonda le case ha, inspiegabilmente, cominciato a cedere. E mentre
l’acqua sale in modo quasi impercettibile, Camille, morta in un incidente
stradale con l’autobus della scuola quattro anni prima, torna a casa. Non è
invecchiata di un solo giorno, ha fame, molto sonno, e pensa di essere di
ritorno da una gita scolastica. Lo stesso accade a Simon, morto il giorno del
suo matrimonio, che torna da Adèle e la trova sposata a un altro. E poi c’è il
piccolo Victor, comparso dal nulla, che non sa dove andare e segue una ragazza
per strada, perché gli ricorda la fatina delle favole. Les Revenants – Quando
ritornano è la storia di Camille, di Simon, di Victor e di molti altri, ma è
anche la storia dei vivi, di un’intera comunità che deve fare i conti con la
sorpresa e la gioia di rivedere i propri cari, ma anche con la paura che
qualcosa di ultraterreno, di terribile, si stia impossessando delle loro vite.
Una grandissima invenzione narrativa, che ha funzionato nella serie tv
rivelazione degli ultimi anni, e ancor più funziona in questo romanzo ispirato
alla serie, una narrazione avvincente che mescola thriller, mystery, suspense,
dramma e affronta il tema della morte in modo assolutamente inedito.
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