Consiglio caldamente il blog Gli scrittori della porta accanto, il blog dove si trovano tantissime novità editoriali e dove chi ama il libro può trovare davvero grande soddisfazione. Il blog si struttura con un approccio sistematico alla categoria della recensione, come strumento non solo divulgativo ma anche informativo e trans/ culturale. Puntualità e rigore sono le coordinate che fondano questa attività on line. E dunque libri, booktrailer e ebook e molte molte sorprese. Si può seguire anche su facebook (https://www.facebook.com/gliscrittoridellaportaaccanto?fref=nf)
venerdì 28 agosto 2015
Consiglio – Gli scrittori della porta accanto
Consiglio caldamente il blog Gli scrittori della porta accanto, il blog dove si trovano tantissime novità editoriali e dove chi ama il libro può trovare davvero grande soddisfazione. Il blog si struttura con un approccio sistematico alla categoria della recensione, come strumento non solo divulgativo ma anche informativo e trans/ culturale. Puntualità e rigore sono le coordinate che fondano questa attività on line. E dunque libri, booktrailer e ebook e molte molte sorprese. Si può seguire anche su facebook (https://www.facebook.com/gliscrittoridellaportaaccanto?fref=nf)
Il Potere del Cervello Quantico di Italo Pentimalli e J.L. Marshall (Uno Editori)
Questo libro racconta
la storia di come gli autori, partendo da una semplice intuizione e con la
voglia di rispondere a domande coraggiose, riscoprono e rielaborano un'antica
conoscenza che ha portato conseguenze inimmaginabili su chi ha avuto il coraggio
di applicarla fino in fondo. Parliamo di una conoscenza che affonda le sue
radici non solo nelle intuizioni dei più grandi pensatori eretici e controversi
del passato, ma anche nelle più recenti ricerche scientifiche sull'interazione
tra mente e materia. Parliamo di una conoscenza figlia di vent'anni di studi
sulla mente e sulle biografie delle persone di successo di tutto il mondo. Parliamo
di una conoscenza testata e sperimentata da migliaia di persone in tutta
Italia, che ha avuto conseguenze ai limiti del credibile sulla loro vita, come
riportano alcune testimonianze dei frequentatori del seminario dal vivo
"Il Potere del Cervello Quantico". Ma soprattutto parliamo di una
conoscenza che riguarda te. Una conoscenza che riguarda il tuo cervello. Esiste
un quarto potere, da sempre racchiuso dentro di te: Attivarlo vuol dire
accedere a un insieme di potenze intuitive che va oltre la potenza di calcolo
"misurabile" del tuo cervello; attivarlo vuol dire accedere a una
nuova dimensione, dove puoi muoverti nel flusso, in modo naturale, verso la
realizzazione delle tue più grandi aspirazioni, accedendo a risorse a cui solo
i grandi geni della storia dell'umanità hanno potuto attendere; attivarlo vuol
dire "potenziare" la tua guida e voce interiore perché sia lei a
guidarti con una chiarezza che non hai mai sperimentato prima. Qualcuno ha
detto che la conoscenza arriva quando l'allievo è pronto a riceverla. Se questo
è vero, questo libro potrebbe essere uno dei viaggi più affascinanti e
rivoluzionari che ti sia mai capitato di intraprendere. Sei pronto a iniziare?
Italo Pentimalli è
autore, conferenziere, speaker e fondatore di PiuChePuoi.it, la community sulla
crescita è lo sviluppo personale più visitata in Italia, con oltre 2.000.000 di
visitatori ogni anno, più di 100.000 fan su Facebook e una newsletter
giornaliera seguita da oltre 190.000 appassionati lettori. E' stato uno dei
pionieri della formazione sul web in Italia, creando un vasto seguito di
appassionati dal 2004 ad oggi.
J.L. Marshall è un
imprenditore, un autore e un esperto di marketing e comunicazione. Persona
riservata, estremamente concreta e metodica, è “l’arma segreta” di diverse
attività imprenditoriali sul web. Uomo curioso e dalla mente aperta sperimenta,
spesso in prima persona, principi e tecniche avanzate di sviluppo del
potenziale umano alla continua ricerca di modelli di applicazione che siano sia
essenziali che universali.
Lascia che il mare entri, di Barbara Balzerani (DeriveApprodi), Intervento di Nunzio Festa
Tre donne esemplari
come uno schizzo sulla parete del Novecento. Barbara Balzerani con "Lascia
che il mare entri" sceglie, componendo un romanzo breve che è nuovamente e
anche un quaderno di memorie personali, d'entrar meglio nella propria famiglia,
compresa se se stessa, per riparlare del secolo che fu. La figura della nonna è
la traccia più lontana; il primo punto di riferimento per l'analisi
dell'involuzione in corso. In un "memoir" tutto politico. (Si
sottolineino le immagini narrativi migliori del libro, che sono proprio quella
più militanti - e pure le meno 'letteraie'). Poi la madre. Che fingeva, tra
virgolette, d'aver votato la democrazia sostenuta dal proprio marito e che
invece aveva sempre votato socialista. Infine la giovanissima combattente:
Barbara. Che s'oppone contro tutte le guerre e ancora è contro le malefatte e
le stesse ragioni di vita del capitalismo agganciato al consumismo. Barbara
Balzerani subì una sconfitta. Sua madre e sua nonna anche, se pur di segno
diverso. Però tutte, come noi d'altronde, a registrar la vittoria del potere.
Sulla nostra pelle. Che si racconta da sola, con gli strumenti dell'imposizione
date dal mercantilismo dirigente. "Storie che provano a restituire voce
alle ragioni ammutolite dalla Storia scritta. Storie del tradimento di saperi,
dell’inganno del progresso mercantile, del grande affare delle guerre, della
rottura del patto con la vita e del prezzo per non averne difeso le condizioni.
Storie di sfiduciata resistenza, di subordinate aspettative, di imprevidenza di
morte per vanagloria di crescita illimitata", parole perfette. Mentre
muore la Civiltà, chiaro. "Tre donne che chiudono in un circolo virtuoso
le battaglie di una manciata di generazioni per mantenere il senso di sé e il
legame con i fondamenti dell’esistenza". Barbara Balzerani, nuovamente,
c'invita a riflettere sul quel che abbiamo sotto gli occhi.
giovedì 27 agosto 2015
Il Romanzo della Nazione di Maurizio Maggiani (Feltrinelli)
Siamo storie, siamo le
storie a cui abbiamo appartenuto, siamo le storie che abbiamo ascoltato. E
infatti Maggiani ascolta. Ascolta il fiume di voci che si leva nel canto della
nazione che avremmo potuto essere e che non siamo, le voci di un popolo rifluito
dentro l’immaterialità della memoria. Si insinua nelle pieghe della vita
apparentemente ordinaria dei suoi personaggi e racconta. Racconta di una madre
e di un padre che si spengono portando con sé, prima nella smemoratezza e poi
nella morte, un mondo di certezze molto concrete: la cura delle cose, della
casa, dei rapporti parentali. Rammenta la fatica giusta (e ingiusta) di
procurarsi il pane e di stare appresso a sogni accesi poco più in là, nella
lotta politica, nella piana assolata quando arriva la notizia della morte di
Togliatti. Racconta, allestendo un maestoso teatro narrativo, della costruzione
dell’Arsenale Militare: un cantiere immenso, ribollente, dove accorrono a
lavorare ingegneri e manovali, medici e marinai, ergastolani e rivoluzionari,
cannonieri e fonditori, inventori e profeti, cuoche e ricamatrici, per spingere
avanti destini comuni, avventure comuni, speranze in comune. Racconta di come
si diventa grandi e di come si fondano speranze quando le speranze sono finite.
Mai si era guardato negli occhi di un padre così a fondo per domandare una
sorta di muto perdono, più grande della vita. Nella mitica contea di Maurizio
Maggiani ci siamo tutti, a misurare quanto siamo stati, o meno, “fondatori di
nazioni”. Come facessero non lo so, ma era tutta gente che sognava mentre
lavorava, e quello che avrebbero fatto con il loro lavoro era la loro utopia.
Zibaldone norvegico di Luigi Di Ruscio. Prefazione di Angelo Ferracuti. Postfazione di Mauro Francesco Minervino (Pellegrini Editore). Intervento di Nunzio Festa
C’è un poeta nella
Scandinavia norvegica. Le ultime parole del poeta Luigi Di Ruscio, nato nel
1953 in Italia e morto nel 2011 in Norvegia, aggrediscono come fecero i primi
versi del scrittore-operaio. Una lunga, e a tratti volutamente ripetitiva,
confessione nella prosa lirica anti-letteraria per la quale il poeta-operaio od
operaio-poeta viveva. Dalla sua lingua, con la sua irriverente lingua.
(solamente in questo caso, è possibile specificare in merito, Nori Paolo arriva
secondo). "La mia prima raccolta del 1953, avevo 23 anni, è una raccolta
delle miserie del primo dopoguerra di un vicolo di Fermo. Immaginavo che le mie
poesie di quella miseria non avrebbero resistito, verranno tempi migliori
quella prima raccolta sarà l'illustrazione di tempi passati e dimenticati. Il
tragico è che ripubblico una buona parte di quelle poesie nel 2007, 54 anni
dopo e sono ancora attuali". I temi: la scrittura e il mondo letterario,
la fabbrica e la famiglia, l’opposizione intransigente al leccaculismo e al
consumismo. Insomma contro il capitalismo. Ma dal privilegio dell’indigenza,
dal margine non marginale d’una quasi povertà. Sicuramente tutta dignità. Da un
comunista nostalgico, certo. Che fu pure nostalgico di qualcosa che i comunisti
non sempre fecero: la pratica inarrestabile e affaticabile del contrasto
assoluto e senza mezzi termini a ogni forma di contrattazione al ribasso e
compromessi rivelatisi in definitiva solo svendita dei valori. Tanto che già
quando pure parte della sinistra baciava i piedi e l’anello della potentissima
Chiesa fermana al fine d’ottenere un lavoro salariato, Di Ruscio salì nella
Norvegia della neve d’Oslo che lo accompagnò, con tanto di moglie Mary e figli,
al pensionamento. Le parole di Minervino poste in calce al testo, sono troppo
amicali per riportarle. E quelle d’apertura del “giovane” Ferracuti son troppo
di parte – Angelo Ferracuti è stato tra i maggiori sostenitori del poco
considerato Luigi Di Ruscio. Ma affidandoci, appunto, soltanto alle parole del
poeta, scopriamo e/o riscopriamo il suo mondo. A cominciare dai contenuti che
ha sempre vissuto. E dettato ai posteri. Bellissima, comunque, l’irriverenza
nei confronti del sistema editoriale, comunque portata con colpi di spada,
fendenti indimenticabili. Ché Di Ruscio fa i nomi. Non per irridere, appunto,
quelle persone (W. Siti in primis). Perché il poeta si scaglia, con questa
aggressione e usando tali critici a emblema, ai ragionamenti celati sotto il
materasso della stima agli autori. E se siam sicuri che un giorno la Mondadori
dedicherà uno dei suoi libro al Di Riuscio, siamo altrettanto certi di come si
tratterà della seconda mancanza di rispetto. Tipo quel Sanremo odiato da
Fabrizio De Andrè pronto a permettersi di celebrarlo da morto. Per tornaconti
di marketing, punto. In “Zibaldone norvegico”, libro che intanto raccoglie non
tutti gli scritti in versi e di prosa inediti di Luigi Di Ruscio, vediamo
l’accanimento terapeutico su e per se stesso che il poeta italiano dona alla
fine al proprio luogo di nascita, l’Italietta, l’ex Belpaese che segue per
cronaca grazie agli abbonamenti a Corriere e Repubblica on-line. Nei passaggi
meglio riusciti, per esempio, il poeta italiano e scandinavo, amante della
lingua scritta (tradotta pure) che lo ospita e da riscrivere (solo pochi libri
in italiano e forse sempre quelli, premesso che diversi poeti anche della sua
generazione non ‘riusciva’ più a leggerli) gioca coi nomi di politici fra i
quali del ducetto d’Arcore e del sommo di Bologna. Oppure sperimenta un catapultarsi
in un’ossessione per il passato sorpassato, vedi il secondo Dopoguerra. Riletto
e, certamente, rimembrato in quanto troppo simile, per problemi e peso
specifico della gente povera, al presente dell’oltre Terzo millennio. Sempre
meno del “Palmiro”, eppur la farina è la stessa. Il materiale lasciato da Di
Ruscio è materia viva. Chi l’ha amato, l’amerà. Il resto farà finta.
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