venerdì 25 settembre 2015

Solo il mimo canta al limitare del bosco di Walter Tevis (Minimum Fax)























Siamo nel 2467 e da diverse generazioni sono i robot a prendere ogni decisione, mentre un individualismo esasperato regola la vita dell’uomo: la famiglia è abolita, la coabitazione vietata e ognuno assume quotidianamente un mix di psicofarmaci e antidepressivi. I suicidi sono in aumento, non nascono più bambini e la popolazione mondiale sta avviandosi all’estinzione. Simbolo e guardiano dello status quo è Spofforth, androide di ultima generazione che agogna un suicidio che gli è però impedito gli dalla sua programmazione. A lui si contrapporranno Paul Bentley, un professore universitario che, riscoperta casualmente la lettura dimenticata da tempo, grazie ai libri apprende l’esistenza di un passato e la possibilità di un cambiamento, e Mary Lou, che sin da piccola ha rifiutato di assumere droghe pur di tenere gli occhi aperti sulla realtà. Tevis si muove dall’incrocio di queste tre vite creando una distopia postmoderna sulle inquietudini dell’uomo, dove la tecnologia senza controllo si trasforma da risorsa a pericolo. Prefazione di Goffredo Fofi. Con una nota di Jonathan Lethem.

Walter Tevis - L'uomo che cadde e si rialzò

È sorprendente pensare che Walter Tevis, creatore di personaggi che sono rimasti a buon diritto nell’immaginario collettivo non solo letterario ma anche visuale, sia stato un autore relativamente poco prolifico; lo è meno accorgersi che le sue storie di isolamento e fragilità, di redenzione mancata, sfuggita o raggiunta, anche quando sono ambientate in un «altrove» in apparenza alieno ma – come molti critici non hanno mancato di sottolineare – plausibile, risultano tuttavia tremendamente familiari. Pur essendo considerato tra i maestri della sci-fi moderna (ma non ha scritto solo sci-fi), Tevis ha sempre insistito per definire le sue opere non come science-fiction ma come fiction speculativa, che descrivendo mondi futuribili o paralleli sposta l’attenzione sul piano psicologico anziché su quello delle innovazioni tecniche. E proprio l’assenza di un armamentario tecnologico più o meno «fantascientifico» fa sì che romanzi come The Man Who Fell to Earth o Mockingbird (in particolare il primo) siano in grado di superare indenni il trascorrere del tempo, che oggi ci fa sembrare ridicoli molti testi che al loro primo apparire erano stati ritenuti sì capolavori, ma solo all’interno del loro «genere». Walter Stone Tevis nasce a San Francisco il 28 febbraio 1928. All’età di dieci anni una malattia reumatica al cuore lo costringe a rimanere in ospedale un anno intero; nel frattempo la sua famiglia si trasferisce nel Kentucky, lasciandolo a San Francisco. La degenza, le terapie e gli esami spesso dolorosi, il senso di abbandono trasformano l’ospedale in un’autentica camera delle torture; e una volta dimesso, non è meno difficoltoso integrarsi nella tranquilla provincia kentuckiana quando si proviene da una grande città. Inoltre Walter è timido, gracile, impacciato, buffo (deve portare un apparecchio per i denti) e ha trovato un precoce rifugio nei libri: tutto questo fa di lui il bersaglio naturale dei bulli della scuola, che non gli risparmiano beffe e pestaggi. Al liceo cambia scuola per ben tre volte, poi si arruola in marina in tempo per prestare servizio alla base di Okinawa, in Giappone, negli ultimi due anni della seconda guerra mondiale; una volta congedato riesce finalmente a diplomarsi e si iscrive all’università. Trova anche lavoro, in una sala da biliardo. Il gioco lo appassiona anche se non è in grado di praticarlo come si deve, a causa delle malattie infantili che gli hanno lasciato danni permanenti di coordinazione motoria; però grazie al suo migliore amico Toby Kavanaugh, giocatore professionista, riesce a imparare le tecniche e i trucchi dei grandi hustler. Una volta laureato comincia a insegnare alla scuola superiore, in un periodo che – malgrado Tevis sia il classico professore goffo e bizzarro che sembra fatto apposta per suscitare i lazzi degli studenti – ricorderà come tra i più sereni della sua vita. Conosce anche una ragazza, Jamie Griggs, anche lei insegnante e come lui a disagio in una cittadina dove si sentono le uniche persone non sposate nel raggio di chilometri. Walter e Jamie mettono su famiglia; nel frattempo lui esordisce come scrittore, con il racconto “The Ifth of Oofth” (1957). Diversi suoi racconti appaiono su riviste anche prestigiose, come Esquire, Collier’s Magazine, il Saturday Evening Post e Playboy. Nel 1959 viene pubblicato il suo primo romanzo, The Hustler, che è subito un successo; due anni dopo verrà portato sullo schermo dal regista Robert Rossen, con la sceneggiatura dello stesso Tevis e Paul Newman e Jackie Gleason nei panni dei protagonisti. Secondo alcuni The Hustler ha in qualche modo reinventato il mondo del biliardo professionistico, trasformandolo in una vera e propria industria. Molti appassionati pretesero di riconoscere nelle figure ritratte da Tevis questo o quel giocatore; uno di loro, Rudolph Wanderone, citò addirittura in giudizio la casa produttrice del film e ottenne un cospicuo risarcimento oltre al diritto di usare il soprannome “Minnesota Fats” (fino a quel momento era noto come “New York Fats”). Polemiche del genere amareggiarono a lungo Tevis, che insistette sempre di aver “inventato Minnesota Fats così come Walt Disney ha inventato Topolino”; pochi gli sono stati invece riconoscenti per aver creato nella sua opera, per così dire, una mitologia del biliardo che resiste ancora oggi. Nel 1963 è la volta di The Man Who Fell to Earth, che, pur senza essere da subito un successo commerciale come il precedente, riesce a ottenere col passare del tempo una considerazione di rado concessa ai romanzi di fantascienza. Alcuni hanno voluto vedere una metafora cristiana nella figura di un Salvatore venuto in pace, disconosciuto e torturato. Ma nel corpo di Thomas Jerome Newton si riproducono soprattutto le sofferenze del suo autore: l’abbandono, le “torture” mediche, l’incomprensione e, infine, l’alcolismo. Mentre termina The Man Who Fell to Earth Tevis sta diventando schiavo del bere come il suo personaggio. Lo rimarrà per diciassette anni, durante i quali non scriverà nulla di notevole, ad eccezione di pochi racconti e articoli. Dato che all’epoca aveva cominciato a insegnare a livello universitario, prima nel Kentucky e poi nell’Ohio, Walter Tevis ha motivato questa interruzione prolungata anche con l’incapacità di riuscire a scrivere e a insegnare nello stesso tempo; ma è anche vero che all’epoca le sue capacità letterarie gli sembravano inadeguate. Il poeta Donald Justice ricorda la propria sorpresa nell’incontrare Tevis a un seminario per scrittori, non come insegnante ma come studente. All’epoca Walter aveva già pubblicato due bestseller, uno dei quali aveva raggiunto Hollywood (l’altro ci sarebbe arrivato qualche anno dopo, grazie allo spirito visionario di Nicolas Roeg e al volto inquietante e malinconico di David Bowie); eppure non si considerava ancora un autore “serio”, si definiva “un bravo scrittore americano di secondo livello” e sedeva, pieno di umiltà, in mezzo a giovani aspiranti che possiamo immaginare perfettamente consci della loro grandezza intrinseca. Nel 1975, però, la svolta: Walter decide di smettere di bere ed entra in psicoterapia. Due anni dopo spinge ancora oltre la decisione di cambiare radicalmente la propria vita: si dimette dall’università e si trasferisce a New York, risoluto a dedicarsi soltanto alla scrittura. Nel 1980 dà alle stampe Mockingbird, che in un certo senso riprende là dove The Man Who Fell to Earth si interrompeva: una storia di dipendenza e disintossicazione, ambientata in un futuro governato da automi nel quale gli esseri umani non devono far altro che dimenticare (emozioni, insegnamenti, storie). I tre personaggi principali di Mockingbird incarnano tre diversi modi di reimpossessarsi del proprio destino: Mary Lou con il rifiuto della società, l’insegnante Bentley con una pratica proibita ma vivificante (la lettura), l’androide Spofforth, condannato all’immortalità, con la morte. Mockingbird è anche l’inizio del periodo più fruttuoso di Tevis come autore; è del 1981 la raccolta di racconti Far from Home, seguita due anni dopo dai romanzi The Steps of the Sun e soprattutto The Queen’s Gambit, la storia di un’orfana circondata da un mondo che la terrorizza, alcolizzata e drogata, che riesce infine a riscattarsi diventando la prima donna campionessa di scacchi. Questa prolificità dopo un lungo periodo di silenzio può sorprendere, ma in questi ultimi anni Tevis ha scoperto di avere un cancro ed è animato da un sentimento di urgenza che si traduce in un fiotto di parole. The Queen’s Gambit potrebbe essere per gli scacchi ciò che The Hustler è stato per il biliardo; le lodi della critica sono pressoché unanimi, e anche l’autore vi è affezionato, tanto che ha intenzione di scriverne un seguito. Nel 1984 esce intanto un seguito di The Hustler, The Color of Money, ritenuto da molti poco più che un espediente per battere cassa in vista dei momenti duri dovuti alla malattia. Ma appena quattro giorni dopo la pubblicazione del romanzo (che nasconde in una battuta rivolta al protagonista, “Fast” Eddie Felson, forse l’unico rimpianto dell’autore: “Te ne sei rimasto seduto sul tuo talento per vent’anni”), Walter Tevis se ne va per una crisi cardiaca, appena cinquantaseienne. (profilo bio-bibliografico a cura di Andreina Lombardi Bom)

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