mercoledì 2 settembre 2015

Nome al tavolo Blackjack, di Valter Binaghi, con una nota di Antonio Paolocci (Perdisa Pop). Intervento di Nunzio Festa



Molestie a parte, l'ultimo libro di Valter Binaghi, pubblicato postumo perché l'autore è morto il 12 luglio scorso - soltanto due giorni prima di compiere il suo cinquattottesimo compleanno - dopo una lunga malattia, nella sua Busto Garofalo (dell'amata e odiata Lombardia), l'ho letto in appena tre giorni; durante, tra l'altro, la compulsiva e compressiva Fiera della Piccola e Media Editoria di Roma del PalaEur. Ché, onestamente, provavo una curiosità immensa nel leggere questo “Nome al tavolo Blackjack”. Intanto in quanto davvero non m'aspettavo Binaghi riuscisse a calarsi così, pienamente, nel genere. Fino a scendere nelle pieghe più difficili del thriller. E dato il fatto che di Binaghi, e ne faccio ammenda, oltre a sue cose in rete niente avevo neppure sfogliato. Ma quando la versatilità non è una dote accessoria, trovi uno scrittore che da alle stampe prima un romanzo storico e poi una vera e propria testimonianza di fede, “Dieci buoni motivi per esser cattolici (Laurana, con Mozzi). O al contrario, in senso meramente editoriale. Senza trascurare quelle doti musicali: specie da bluesman. E che ti lascia a bocca aperta, oltre che realmente incastrato nelle sue pagine, dandoti innanzitutto una serie di personaggi ognuno dei quali significativo e comprovante d'un pezzo di mondo. Il protagonista del romanzo, infatti, Francesco Barca, come si vede solamente in coda all'opera, fa il giocatore di carte per professione. Dunque servendosi dell'oramai titolo, più che soprannome, di Blackjack. Mentre nella sua mente scorre l'assenza della madre. Più spunta l'improvviso, ovviamente, colpo di fulmine. Quando suo padre, di taglio, è un nostalgico comunista ortodosso e intransigente - che in vecchia ancora è capace di credere nella buonafede di compagni d'un tempo svendutisi tranquillamente al nemico, al potere (questione che i figli cercano di nasconderli fino alla fine della sua vita pura). Pezzi dati in pasto a una montagna d'altri pezzi. Vedi il cameriere rom... Uomo italiano. Vittima di pregiudizi, ma meno dei suoi connazionali solo in virtù dello stato sociale che veste adesso nell'ex Belpaese. Il pregiudizio razziale, punto primo. Che sfianca la dignità umana, comunque resistente, specie dove il grasso della pancia piena è leggermente intaccato dal calo del rendimento dell'economia. Il pregiudizio sessuale, punto secondo. Quando l'amata di Blackjcak è maltrattata e vessata dal suocero. Come altri pregiudizi e condizioni dell'Italia d'oggi. La storia sfiora veramente il giallo. Di pretesto. Mentre scava nell'anima dei singoli e scava, proprio, nell'anima della nazione. Un tumulto di suggestioni. Tutte e ognuna a scorrere da nastro nella trama. La parte peggiore e la migliore dell'umanità, scoppia sullo schermo istallato da Valter Binaghi.    

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